lunedì 28 gennaio 2013

DENTRO L'OPERAPERTA

Il primo “esperimento” di OPERAPERTA, come già sapete, è stata una rivisitazione della “Dama con l'ermellino” di Leonardo Da Vinci e a me è stata assegnata la testa.
Dopo aver accartocciato tre schizzi veloci, eseguiti senza pensare, per vedere cosa mi suggeriva un approccio istintivo, ho rinunciato alla spontaneità e sono andata a informarmi meglio su questa signora. Alla fine a me interessano le persone e le loro storie, quindi perché non andare a riscoprire proprio quella della dama?
Ho letto che ci sono tre teorie su chi possa essere la donna dipinta dal maestro, ma la più accreditata è che si tratti di Cecilia Gallerani. Cecilia, che neanche sedicenne diventa amante di Lodovico il Moro. Cecilia, che gli da un figlio. Cecilia, che viene allontanata dalla corte degli Sforza quando la moglie di lui, Beatrice D'Este, decide di aver sopportato abbastanza la presenza di quella “puta” (nel senso di “bambina”, eh, mi raccomando!).
La cosa che ho ritenuto più affascinante, però, è stato scoprire che stavo per disegnare una ragazza intelligente, estremamente colta, capace di creare attorno a sé un ambiente frequentato dalle più grandi personalità dell'epoca, tra cui anche Leonardo Da Vinci: la residenza del Bergamino, ultima dimora di Cecilia, divenne infatti luogo di incontro per poeti, scrittori, filosofi, studiosi e intellettuali.
Per me, a quel punto, è stato un attimo capire come l'avrei disegnata. Ho mischiato i suoi tratti e l'espressione del suo viso a quelli di una donna degli anni '20, dall'aria beffarda e indipendente, e le ho messo il cervello in evidenza, per ovvi motivi legati al suo amore per la cultura e il pensiero.
Con un tarlo tra le sue pieghe, però, metafora di una sofferenza, di un pensiero che ogni tanto si muove in lei, facendole male. La medusa, come altre figure antropomorfe, è una quasi costante dei miei lavori. La uso come una delle rappresentazioni delle paure, delle ansie e dei pericoli e in questo caso per esprimere la nostra fragilità, perché un materiale gelatinoso e morbido, non è certo in grado di proteggere una cosa preziosa e delicata come un cervello.
L'unico elemento creato senza ragionarci sopra, ma emerso nel foglio come naturale conseguenza, è stato il “cervelletto chignon”, trafitto da spilli, come un gomitolo di lana.




Ma come hanno vissuto i miei compagni d'avventura questa esperienza? Come hanno approcciato il soggetto e soprattutto il loro “pezzo”?
Gliel'ho chiesto.

Perché hai rappresentato la tua parte in questo modo?”

Vacon Sartirani, autore dell' “ermellino”, risponde: “Certi tipi di escrescenze amorfe sono ormai parte inscindibile del mio modo di pensare graficamente. Nel rappresentare l'ermellino, ho voluto allontanarmi il più possibile da ciò che l'immagine dell'animale, anche in senso anatomico e simbolico, si porta dietro. Ho voluto mantenere invece alcuni altri elementi, come l'aura mortifera e algida, che ho trasferito nel teschio.




E' vero, nei bei lavori di Vacon troviamo queste escrescenze. Vado sulla sua pagina per capire meglio e leggo di larve, coralli, fantasmi, apparizioni, corpi bozzoli... e di colore blu e di colore rosso. Due elementi contrapposti a me familiari, fondamentali anche nei miei lavori fino al 2011. L'interessante articolo di Gaia Locatelli mi conferma che questo artista e io abbiamo più in comune di quanto pensassi. Guardo con attenzione i suoi quadri sul sito e sospetto fortemente che siano porte dimensionali, ma per accertarmene dovrò vederli dal vivo e mi dispiace ricordarmi di aver perso l'occasione di farlo all'AvantGarden gallery, a Milano.

Alessandro Sicioldr, che ha disegnato il corpo della dama, è un meticoloso disegnatore, interessato all'inconscio e alla relazione tra alchimia e psicologia. Le sue influenze sono chiare e importanti. Dice del suo lavoro: “Di solito non rappresento qualcosa cerebralmente, ma trascrivo su carta le visioni che ho a seguito di particolari suggestioni. In questo caso il corpo della Dama, opera largamente inflazionata e impressa staticamente nell'immaginario collettivo, è stato visto da me come parte di un ciclo di decomposizione-putrefazione-creazione , una rottura portatrice di nuova nascita, brani di carni che si distaccano e che al tempo stesso creano l'humus per una germinazione al confine tra il vegetale e l'animale.




Adoro la parola “visione”. E anche “germinazione”. Ma soprattutto i disegni di Sicioldr, e sono molto curiosa circa le sue future evoluzioni. E' pure molto giovane. Beato lui.

Dario Molinaro mi mette allegria. C'è qualcosa in lui che mi ricorda Paperoga. Paperoga su un'amaca che si fuma un cannone e disegna nuvole col dito.
Anche Dario è un narratore, uno storyteller, come me, e riconosco alcune delle influenze comuni. In lui quella di Andrea Pazienza è ancora più presente, ma si avverte solo nella potenza espressiva, perché la sua individualità è forte, non si porta dietro nessun fastidioso strascico.
Alla mia domanda, risponde così: “Ciao, diciamo che un perché vero e proprio non esiste. L'opera originale non ha uno sfondo, c'è un nero-nero-buio; quindi ho semplicemente cercato di ricavare un qualcosa da quel nero, forse il sottobosco che ho rappresentato era la scelta più ovvia. Prima di arrivare a questo finale, però, ho fatto varie prove che non mi convincevano affatto. Probabilmente l'ermellino, che vive specialmente nei boschi, mi ha dato l'ok.




Ne sono sicura, Dario. E' stato l'ermellino, io lo so.
Il bosco creato da Dario è uno di quelli nei quali io mi avventurerei. Mi sono persa a guardarlo più di una volta, entrando volontariamente nella parte più fitta e forse lo farò ancora, anche se, lo ammetto, un filo di paura ce l'ho avuta.



Adesso però è arrivato il momento di passare all'art director, Francesco d'Isa, ideatore di operaperta. Francesco è un artista digitale, che mischia delicatezze e durezze in un modo e con uno stile che trovo molto accattivante. Mi piacciono le sue donne-aliene, di cui lui lascia vedere, in trasparenza, un'anatomia impossibile, ricca di significati e simboli. Credo comunque che il suo capolavoro sia “Europa”, per la cui realizzazione ha impiegato mesi e per il quale si è fatto venire un'altra idea: Sliced Art...
Ma questa è un'altra storia e ve la dovrete cercare da soli, perché se comincio ad aprire parentesi su Francesco, è quasi certo che questo articolo non avrà mai fine!
Gli ho chiesto quale sia stata la parte più esaltante di questa prima avventura del progetto.

Vedere i vostri pezzi che arrivavano via via, li aspettavo come regali di natale” risponde lui, “Ma anche montare il risultato è stato bello; questa è una fase in cui aumenterò gli interventi dell'art director, perché mi veniva una gran voglia di disegnarci qualcosa, e penso che così come a me venga anche ad altri!

Lo penso anche io. La tentazione di intervenire sull'opera deve essere forte, per qualcuno che, come lui, è anche un'artista visivo.
Ma chi è che può fare l'art director?

Francesco D'Isa: “Chiunque. Ma per fare l'art director, così come per fare l'artista, bisogna essere bravi. Con un cattivo art director e/o cattivi artisti, si generano opereaperte brutte. Per questo, per quel che posso, cerco di tirare dentro artisti bravi e quando qualcuno vuol fare l'art director, vorrei che fosse bravo.
Ma chiunque può usare il metodo operaperta. Non c'è copyright. Come sola regola direi che nel gruppo "originale" si tira dentro chi ci piace.
Se poi uno lo vuol fare per conto suo, ben venga. Sulla definizione di "bravo" poi, mi tiro indietro.

Giusto. Questa è operaperta. Chiunque può avere un'idea e coinvolgere chi vuole.
So che in pentola sta bollendo pure la creazione di un sito, che offrirà ulteriori delucidazioni. Intanto c'è un altro lavoro che sta partendo e forse altri, silenziosamente, si stanno stagliando nelle altrui menti, magari dall'altra parte del mondo.

Cosa pensi del risultato finale di questa prima operaperta?”

Francesco D'Isa: “Penso quello che rende un progetto una soddisfazione: che è meglio di come pensavo sarebbe venuto. Mi sembra un bel lavoro, a priori del metodo, e questo è l'importante. È omogeneo più del previsto, e a mio parere gli stili non cozzano affatto l'uno con l'altro.

Vacon Sartirani: “Abbiamo dato il giusto avvio ad un progetto che ha potenzialità molto ampie e che aspettano di essere sperimentate. Il lavoro collettivo è uno dei punti cardine dell'arte contemporanea – penso anche alla street art, campo in continua ascesa e da sempre fortemente caratterizzato da una forte collettivizzazione del processo creativo, anche per motivi di necessità puramente tecniche – che però al di fuori, appunto, dell'arte murale secondo me non è stato ancora sufficientemente analizzato da parte dell'arte visiva.”

Alessandro Sicioldr: “Ne sono entusiasta. I lavori collettivi, per quanto differenti dallo stile della mia ricerca personale, aprono sempre nuove porte. La collisione tra varie idee e visioni permette cambi di prospettiva interessanti, e questa opera ne è il palese esempio. Anche le differenti tecniche grafiche, fuse tra loro hanno creato una Dama "Frankestein" con una sua propria vitalità, un suo stile e una sua coerenza.”

Dario Molinaro: “Sai, non avevo in mente (nella mia immaginazione) il risultato finale di questa opera...siamo tutti molto diversi, era difficile trovare un equilibrio compositivo, ma devo dire che il risultato c'è e si vede. dovrebbero esserci più lavori collettivi come questo (anche se sono un disegnatore solitario). massì, disegniamo tutti assieme, sporchiamo fogli, divertiamoci e amiamoci.”

La mia opinione la conoscete già. Posso solo aggiungere che in questo gruppo siamo un po' tutti dei solitari, per quel che ho potuto capire, e che probabilmente, stragodiamo del piacere dello stare con noi stessi mentre si crea. E' anche vero che Operaperta non toglie questo piacere, ma in qualche modo può riuscire ad “unire anime” o chissà, a “riunirle”, donando loro una sorta di figlio al quale non possono che voler bene.
E' un'esperienza da fare. E da rifare, e stare a vedere cosa diventa nel tempo.


Amiamoci”, dice Dario... ma sì! Che bello!
Almeno proviamoci.























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